Everyday rebellion

Sala 2 Facciamo il punto sulla non-violenza

Lunedì, 16 Febbraio 2015

Celebra il potere e la ricchezza delle forme creative di protesta non-violenta, che possono manifestarsi in realtà molto lontane tra loro: dagli Indignados spagnoli alla Primavera Araba. Queste realtà possono mettersi in relazione concreta tra di loro attraverso la rete virtuale: il documentario ne è un esempio concreto.

 

Scheda

Regia: Arash e Arman Rihai
Paese: Australia, Germania, Svizzera
Anno: 2013
Durata: 118 min
Documentario

Trama

Non è un'utopia che forme di protesta non violenta e di disobbedienza civile possano cambiare il mondo e lo stato delle cose. Si tratta semmai di un dato di fatto che trova conferme dall'Iran alla Siria, dal gruppo Femen in Ucraina agli Indignados in Spagna e da Occupy Wall Street fino alle strade di Copenaghen. I fratelli Arash e Arman Irahi seguono da vicino gli attivisti e le loro ribellioni quotidiane per salvaguardare la giustizia, i diritti umani e la democrazia.

Critica

Un incontro molto interessante ha accompagnato la presentazione a Roma del documentario dei fratelli Riahi Everyday Rebellion che racconta, attraverso un progetto crossmediale, le storie di diversi movimenti di protesta non-violenti, da Occupy Wall Street agli Indignados spagnoli, dalle Femen alla Primavera araba. Alla conferenza stampa sono intervenuti il regista Arash T. Riahi, che ha confessato di essere un appassionato del cinema italiano (“Ho pianto dopo aver visto Tre fratelli di Francesco Rosi"), e Inna Shevchenko, leader delle Femen. Il film esce l’11 settembre in quindici copie.

Com’è nato il film?
Arash T. Riahi: L’idea del film è nata quando abbiamo conosciuto Srđa Popović e l’organizzazione da lui fondata a Belgrado, CANVAS. Popović teneva seminari sulle strategie non-violente. Il suo movimento Otpor ha fatto cadere il regime di Milošević. Durante questi incontri abbiamo imparato che i modelli di protesta non sono uguali in tutti i movimenti, ma si adattano alla situazione politica di quel paese. Nel film quindi ci siamo concentrati non tanto sul background di ogni movimento quanto sulle tattiche che vengono di volta in volta riadattate.

Qual è il valore di portare un messaggio di pace in questo momento storico?
Arash T.  Riahi: Io e mio fratello abbiamo iniziato a girare il film nel 2009, l’ultima ripresa risale a ottobre dell’anno scorso in Turchia. Noi siamo dei rifugiati fuggiti dall’Iran negli anni ‘80. Il film nasce quindi da un nostro bisogno, è una dichiarazione d’intenti, un messaggio. Dietro c’è anche progetto crossmediale ma prima di tutto volevamo raccontare la nostra storia personale. Il film poi esce in un momento preciso perché oggi i media fanno vedere l’opposto, cioè la violenza come risposta. In tal senso la scelta della data, l’11 settembre, non è solo un riferimento all’attentato terroristico, ma anche alla caduta del blocco orientale avvenuta venticinque anni fa. Il film fa vedere come si possono raggiungere dei risultati senza la violenza, perché la violenza produce solo altra violenza.

Perché ha scelto di accomunare diversi movimenti?
Arash T. Riahi: Per me era importante far vedere il pluralismo, cioè le varie forme di protesta non-violenta. I mass media, pur conoscendole, non le mostrano al pubblico in maniera sufficiente. Alcune di queste hanno origini orizzontali, ma tutte condividono le strategie di non-violenza. Il movimento delle Femen, ad esempio, fa uso del corpo nudo, che se da un lato è indice di una bassa protezione, dall’altro produce a livello comunicativo un impatto molto forte.
Inna Shevchenko: Spesso il nostro movimento non viene visto come gli altri nati dai bisogni delle persone. Le Femen si sono formate nel 2008 in Ucraina da un gruppo di studentesse provenienti da varie zone di Kiev, che si sentivano perse ed erano alla ricerca di una vita migliore rispetto alle generazioni precedenti. Nella società ucraina le donne venivano viste in modo tradizionale, come risorsa da essere sfruttata. All’inizio eravamo giovani e abbiamo cominciato a fare attività politica senza averne nessuna esperienza, prima con piccole azioni per le strade fino ad arrivare alle proteste vere e proprie. Il fatto che questo modello ci abbia portate al successo e si sia aperto a diverse manifestazioni non significa che non sia partito dai bisogni umani.

Come spiega la mancanza di italiani nel film, a parte Berlusconi?
Arash T. Riahi: Il film non rappresenta tutti i paesi del mondo ma diversi movimenti che si sono affermati negli ultimi cinque anni e mostra come sono entrati in connessione tra loro. Oltre agli italiani, non vediamo nemmeno un tunisino, ad esempio. Questo perché in Italia non abbiamo trovato un movimento recente di portata tale da includerlo nel nostro progetto.

Qual è lo spartiacque tra protesta violenta e non-violenta?
Arash T. Riahi: Ognuno di noi deve prima stabilire un proprio limite nei confronti della violenza. Siamo contro il vandalismo e il caos, però a volte compiamo alcune azioni non dannose per gli altri ma comunque violente, come tagliare una croce o rompere una finestra, perché si rivelano necessarie. Bisogna sempre valutare che l’azione non vada a danneggiare gli altri. E la religione gioca una parte importante nello stabilire questi limiti.
Inna Shevchenko: La violenza è quando si ferisce qualcuno fisicamente, non quando si urla o si esprime la propria rabbia. Spesso i media mostrano manifestanti che forzano un palazzo per entrare e dicono che quella è violenza. Ma non è così. Sono i poliziotti a usare spesso la violenza. Il problema certo è anche quello di ferire i sentimenti. Va fatto però un ragionamento su ciò che è politically correct e viceversa. A volte forzare alcune dinamiche è necessario. Bisogna smetterla con una certa tolleranza e non bisogna aver paura di ferire i sentimenti, che spesso sono contrastanti. Questi legami vanno infranti, la rabbia non è solo espressione di violenza, è una questione politica.

Qual è l’influenza delle Femen in Ucraina?
Inna Shevchenko: L’uso che facciamo della nudità è di tipo politico, e non certo per compiacere gli uomini. Siamo consapevoli di provocare le persone, ma non abbiamo alcun intento di seduzione. Infatti quando abbiamo protestato contro Putin e Berlusconi siamo state messe in carcere. In passato le donne per protesta hanno deciso di vestirsi da uomini o di rifiutare la loro sessualità. Ora questo non si può più fare. Noi usiamo il nostro corpo in maniera antisessista. Sappiamo di aver turbato molte donne in Ucraina ma di fatto abbiamo ottenuto dei risultati. Si tratta di una lotta che stiamo conducendo per cambiare la mentalità. È un processo lungo ma lentamente sta cambiando l’immagine della donna ucraina, che vogliamo libera e non relegata solo alla famiglia. 

Rubrica

L'obiettivo dichiarato di un progetto così ambizioso è quello di raccontare non tanto le ragioni sociali e politiche alla base di ogni singolo gruppo, quanto le comuni strategie di non-violenza e resistenza civile. Per questo motivo, in parallelo al film è poi nata una piattaforma che sfruttando le potenzialità del web 2.0, permette un aggiornamento costante nel tempo attraverso la condivisione di video e articoli.

Arash T. Riahi, iraniano, ha diretto alcuni documentari tra cui Jakarta Disorder, Nerven Bruch usammen, Tomorrow You Will Leave. Arman T. Riahi ha diretto la serie tv di carattere documentaristico Momentum: What Drives You.

 

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