The special need

Sala 1 In collaborazione con C.U.I. - I Ragazzi del Sole

Lunedì, 19 Gennaio 2015

Enea, giovane diversamente abile, e il regista sono coetanei e si conoscono da quando avevano quindici anni. Decidono di partire, insieme ad un amico comune Alex Nazzi, per un viaggio che ha come obiettivo di colmare la “necessità speciale” di Enea di fare l’amore, ma che gli permetterà di esplorare anche i suoi sentimenti e desideri.

 

Scheda

Regia: Carlo Zoratti
Paese: Austria, Germania, Italia
Anno: 2013
Durata: 83 min
Interpreti: Enea Gabino, Carlo Zoratti, Alex Nazzi, Bruna Savorgnian, Carla Maneghin, Pia Covre, Carla Corso, Ute Prankl, Lothar Sandfort, Francesca Mucignat, Nerino Gabino, Elia Gabino

Trama

Enea ha 30 anni ed è affetto da autismo, il suo desiderio più grande è di fare finalmente l’amore e incontrare la donna della sua vita. Due amici, Alex e Carlo (il regista stesso) decidono di portarlo prima in un bordello in Austria e poi in un centro di assistenza sessuale in Germania.

Critica

A metà tra documentario e film on the road, questa opera prima del giovane regista Carlo Zoratti, classe 1982, conferma quanto la scuola di Udine sia una realtà molto viva (vedi i precedenti di Zoran, Il mio nipote scemo di Matteo Oleotto e Tir di Alberto Fasulo) soprattutto dal punto di vista dello sperimentalismo visivo (da ricordare Lorenzo Bianchini e il suo cinema sovrannaturale).
Girato con una piccola cinepresa a mano che alimenta l'immediatezza e permette di seguire il percorso di Enea, la sua voglia di affrontare la vita, la sua capacità di andare oltre la malattia, alla ricerca di una vita normale. Anche la decisione di mostrarsi del regista (perché Enea durante le riprese tendeva a guardare in macchina per cercare lo sguardo dell’amico regista) dona al film maggiore naturalezza, favorendo una recitazione che parte da un canovaccio scritto ma lascia ampio spazio all’improvvisazione e all’istinto di Enea.  

Premi e Festival

Miglior documentario al Trieste Film Festival e vincitore della sezione “German Competition” al Dok Leipzig di Lipsia con la motivazione «Era da tanto tempo che un documentario non raccontava la tragedia e la commedia della vita con tutta questa empatia».

Rubrica

All'anteprima stampa sono presenti, accanto al regista-coprotagonista, il protagonista Enea e la produttrice italiana, per Videomante, Erica Barbiani

Come vi siete conosciuti? Avete un legame parentale che vi unisce? Carlo Zoratti: Dietro questo tipo di domande vedo sempre in agguato quelle latenti come: "ma chi te lo fa fare?" Sembra quasi che si debba essere parenti per poter conoscere ed entrare in contatto con persone come Enea. Proprio per questo motivo nel film non è specificato il motivo della nostra conoscenza. Io ed Enea ci siamo incontrati a 15 anni, all'epoca frequentavo un istituto tecnico con 1500 ragazzi, tutti maschi, perlomeno al 99%. Volevo a tutti i costi conoscere delle ragazze e capite bene quanto questo fosse improbabile in quel contesto. Cercavo un posto dove ci fosse poca concorrenza. L'idea geniale è venuta ad amico. Ha pensato che una grande concentrazione di ragazze potesse stare solo nei centri di volontariato. Quindi il vero motivo per cui mi sono avvicinato al mondo di Enea è questo. Nel centro che lo aiutava ho conosciuto la mia prima ragazza, la figlia della terapista di Enea, ma mi sono trovato subito bene con lui, in totale sintonia, nonostante la passione per la figlia della terapista. Ho iniziato a farlo uscire con me, gli chiedevo: "che fai questo sabato?" Non potevo accettare che vedesse Scommettiamo che? Le ragazze...sono state il motivo che ha determinato anche la nascita del film.

E' spesso una difficoltà essere toccati, per gli autistici, ma Enea sembra non essere afflitto da questo problema? Enea: Da bambino mi dava fastidio essere toccato. Carlo Zoratti: Nello spettro dell'autismo, Enea è una mosca bianca. Fino ad 8 anni era non verbale, cosa che lo ha 'classificato' nel confine stereotipato dell'autismo. Poi le cose sono molto migliorate quando è stato affidato alla sua attuale psicoterapeuta (che vediamo nel film) Carla, tanto che lui stesso spesso sostiene di avere due mamme, colei che lo ha messo al mondo e Carla. Ai tempi, in cui gli è stato diagnosticato l'autismo, quest'ultimo non era neanche ben classificato come sindrome, e Carla è stata una sperimentatrice cercando e trovando nuove tecniche per entrare nel mondo di Enea, e dandoci gli strumenti adatti a relazionarci.

Visto che il film respira di un'enorme libertà, che sfrutta i pregi di Enea, come lasciarsi andare senza pensare ad eventuali etichette e ai limiti imposti dalle regole sociali, è totalmente frutto di una sceneggiatura prestabilita? Carlo Zoratti: Ho vissuto il ruolo sul set in modo un po' schizofrenico, diviso tra l'essere regista di Enea e l'amico di Enea. Ho percepito la mia presenza come un disturbo. Da una parte ho voluto difendere Enea da certe situazioni e dall'altra ho deciso di lasciarlo fare, ma anche in questo caso ho avuto molta paura. Una sera è stato inamovibile. E' voluto andare a conoscere un gruppo di ragazze e nè io nè Alex siamo riusciti a fermarlo. Era microfonato e ascoltavamo i dialoghi, è stato dilaniante. La sceneggiatura nasce quando ho chiesto a sua madre: "ma Enea ha una ragazza?" Sembrava stesse attendendo questa domanda da una vita, mi ha spiegato che era un serio problema per lui che parla sempre di ragazze. Abbiamo deciso di trovare tutti insieme una soluzione. Così è nato un percorso prestabilito con questi tratti salienti: la ricerca di una ragazza, il sacro Gral di Enea, cioè la nostra sceneggiatura. Nello sviluppo delle vicende poi tante cose sono venute fuori liberamente, grazie a Enea: la creazione di Caterina, la dichiarazione a Francesca, che in realtà era stata lei stessa, prima del film, a rivolgere delle avances ad Enea.
Erica Barbiani: La storia segue il percorso di Enea che durante le riprese cambia, cresce è un motore che ha delle esigenze, che è felice e che protesta. Il montatore tedesco ha capito questo, pur non parlando italiano, attraverso la fisicità di Enea, che parla inevitabilemente dei suoi mutamenti interiori.

Si è confrontato con The Session, nonostante per certi versi sia differente dato che lì in gioco c'è l'elemento strumentale della fisicità mentre qui pare essere più quello della relazione? Carlo Zoratti: Non ho visto The Session deliberatamente, e tutti gli altri film sulla disabilità, che pure mi sono stati consigliati. Per non lasciarmi influenzare e spaventare, dall'idea di non riuscire a raggiungere certi livelli. Comunque il desiderio di Enea è prima di tutto fisico

Si è posto il problema di chiedere alla psicoterapeuta come comportarsi con Enea durante le riprese? Carlo Zoratti: abbiamo ore di girato in cui io e Alex parliamo con la famiglia, con Carla, ma al momento del montaggio abbiamo deciso di togliere tutto ciò e lasciare il dubbio.

Qual è la sua preparazione? Carlo Zoratti: Sono un autodidatta, non ho studiato cinema, ma ho letto qualche manuale. Mi trovo a confrontarmi con persone che ne sanno più di me e mi sento spesso inadeguato. Ma il film l'ho fatto d'impatto, ho voluto portarlo avanti fino a che non mi avessero abbattuto, letteralmente come un animale. In totale il progetto è durato quattro anni.

Quanto tempo ha impegato per girare giornalmente, e lo sguardo della camera, privo di giudizio sui personaggi, come lo può spiegare? Carlo Zoratti: Ho smesso di lavorare, ho preso un anno sabbatico, iniziando a vivere dei miei risparmi. In quell'anno ho incontrato Enea, dopo del tempo in cui non ci eravamo persi di vista, alla fermata dell'autobus. Era il 2009. Da quel momento ho iniziato a parlare con Alex, la famiglia di Enea, Carla la terapista e per due anni ho cercato il modo di sviluppare l'idea. Ho cercato nel frattempo di capire me stesso, ho seguito 5 pitching, poi nei due anni successivi abbiamo lavorato 8 ore al giorno. Mentre mio padre mi ripeteva: "avete finito?", mi guardava e scuoteva il capo. Avrebbe voluto facessi il ferroviere. Dai pitching per l'Europa e soprattutto alla Berlinale Campus – dove ho fatto centinaia di domande - ho appreso della necessità di alternare una settimana di ripresa e due di montaggio, per comprendere in che direzione cammina il film. Nei primi tempi ero dietro la telecamera, e grazie al metodo appreso ho capito che ciò che stava venendo fuori non mi piaceva. Enea, che conosceva maggiormente me piuttosto che Alex, si girava continuamente in camera a parlarmi. Sembrava un reportage giornalistico, non era ciò che avevo intenzione di creare. Discutendo con il direttore della fotografia si è prospettata la soluzione che entrassi in scena come attore. Ero restio a mettermi davanti la telecamera, ma la cosa ha funzionato. Così alla fine molto ha fatto proprio il direttore della fotografia, Julian Elizade. A conclusione di ogni giornata di riprese ci riunivamo, davo qualche indicazione per il giorno a venire, ma il più delle volte Julian ha fatto di testa sua e ha fatto bene. Così il fonico e il montatore. E poi erano sempre presenti, eravamo in sei sul set, tanto che nella scena in auto, alla fine, sono a fianco a noi (fuori dall'inquadratura) e piangono tutti e tre. Ecco vedete? La scena finale è tale grazie all'idea del montatore che ha voluto collocarla in chiusura, ottenendo un effetto perfetto.

Si può parlare di rinascita del cinema friulano? Esiste un tratto comune tra Zoran, il mio nipote scemo, Tir e il suo The Special Need? Erica Barbiani: Fondamentale è l'esistenza del fondo comune per l'audioviso del Friuli Venezia Giulia che ha operato le scelte migliori indotto da una visione, quella d'investire nel film, nelle persone e nella loro formazione. Personalmente ho avuto gli strumenti per capire come muovermi, da produttrice, frequentando il corso di formazione EURODOC, grazie proprio ad una borsa del Fondo. Questo ha permesso di creare sinergia tra persone che parlano lo stesso linguaggio, in fondo siamo sempre gli stessi, ci ritroviamo agli stessi corsi, ci riconosciamo. Per esempio so a memoria tutta la fase iniziale della lavorazione di Tir perchè ho avuto modo di relazionarmi con Fasulo, grazie al sistema del Fondo. Carlo Zoratti: Non credo di parlare il loro stesso linguaggio! Posso raccontarvi in compenso questo: la mamma del regista Matteo Oleotto ha un ostello in cui noi scrittori, registi, sceneggiatori ci incontriamo e in queste serate ci confrontiamo su varie questioni, che unite al buon vino, danno dei risultati. E' bello sentire le fatiche di ciascuno, le fragilità, ci si sente meno soli. Forse è perchè c'è tanta semplicità in una Regione come questa, o forse è solo che ci sentiamo un pò isolati dal resto del Paese, e sì siamo un pò come un circolo di alcolisti anonimi del cinema.

Il film vive grazie alla fotografia e alle musiche, pur essendo un autodidatta. Che scelte ha operato in questi settori? Carlo Zoratti: Sono un autodidatta come vi ho detto, ma ho studiato Interection Design, quindi programmo e amo programmare. Per le musiche non volevo che queste preannunciassero dei momenti creando patos. Dovevano essere di azione e reazione. La colonna sonora è stata composta prima del film. Ho costruito lo script con 24 scene e l'ho consegnato al compositore, che ha chiesto a me, Enea ed Alex una playlist a testa delle canzoni che amiamo. Ha incrociato i nostri amori musicali con le informazioni dello script, è venuta fuori una colonna sonora che è stata anche quella del nostro viaggio. Durante gli spostamenti, volevo sentire la radio, ma per i diritti vari, che non ci siamo potuti permettere, ho buttato via tutti i cd, dal furgone, (che è la vera auto di Alex) e la nostra radio è diventata la composizione di Dario Moroldo. Siamo diventati un po' autistici anche noi sentendo e risentendo i brani. Enea ha talmente interiorizzato le musiche che canta la canzone finale, - e per lui che non ricorda neanche la suoneria del suo cellulare è un fatto eccezionale - questa è stata un'evoluzione inaspettata.

Il bisogno di migrare in Austria è una denuncia nei confronti del nostro Paese, quasi a dire che qui non abbiamo gli strumenti per fare fronte a problematiche così pressanti e normali? Carlo Zoratti: Non è una denuncia frontale. Paragono il viaggio del film alle sensazioni che avevo da bambino quando andavo a dormire da mio cugino, perchè potevo fare delle cose che a casa mi si proibivano. E le facevo, ero contento e non colpevolizzavo i miei genitori. Non ho neanche la speranza che le cose in Italia possano cambiare, non so se sarà mai possibile esplorare così la sessualità. Il problema non è che qui la prostituzione è vietata, il problema è che Enea è paragonato ad un minore (a livello legislativo) e fare quello che si può fare altrove, sarebbe addirittura ficcarsi nel reato di circonvenzione d'incapace. Poi noi italiani tendiamo a proiettare i nostri desideri sui disabili, senza comprenderne le reali necessità. A Trebel ci sono assistenti uomini e donne che, senza soluzioni definite, si danno, indifferentemente a uomini e donne. Quando siamo entrati nella casa di Trebel abbiamo capito che il nostro ruolo nei confronti di Enea era limitato, non potevamo dire cosa Enea volesse, perchè doveva essere in grado di esprimere da solo le proprie necessità, altrimenti Lote non avrebbe accettato di accompagnarlo verso la scoperta fisica dell'altro. Il disabile qui è considerato persona. C'è una gamma di sensazione, di dubbi che Enea ha espresso come qualsiasi altra persona.