Diamante nero

Sala 1 Festa della Donna

Lunedì, 06 Marzo 2017

Marieme ha sedici anni e la sua vita sembra fatta solo di cose vietate dalla censura del quartiere e dalle regole della scuola. Quando incontra un gruppo di ragazze dallo spirito libero, la vita di Marieme cambia improvvisamente. Da quel momento, può vivere la sua età abbracciando la vita di strada, l'amicizia e talvolta anche la violenza.

 

Scheda

Regia: Celine Sciamma
Paese: Francia
Anno: 2014
Durata: 112 min
Con: Karidja Touré, Assa Sylla, Lindsay Karamoh, Mariétou Touré, Idrissa Diabate

Trama

Marieme, un adolescente oppressa dalla situazione familiare, dalle scarse prospettive scolastiche e dallo strapotere maschile del suo quartiere, inizia una nuova vita dopo aver incontrato un gruppo di tre ragazze dallo spirito libero. Cambiando nome, modo di vestire e comportamento, spera di trovare con loro la propria strada verso la libertà. 

Critica

Meraviglioso e stimolante racconto privato immerso nel sociale che aggiorna la riflessione sulla costruzione dell'identità che la cineasta porta avanti sin dal suo esordio con Naissance des pieuvres e poi con Tomboy, rendendola sempre più politica.
«A scatenare il progetto sono state le ragazze adolescenti che vedo regolarmente nei dintorni dei centri commerciali, della metropolitana o delle stazioni ferroviarie di Parigi. Sempre insieme come in una banda, forti e vivaci, le ragazze hanno catturato la mia attenzione e ho voluto approfondire le loro storie, cercando nei blog a loro dedicati e documentandomi sulla loro estetica, sugli stili di vita e sui comportamenti. Dietro la loro irresistibile energia, si nasconde un tema che mi è sempre stato caro nella mia attività da regista: la costruzione di un'identità femminile in un ambiente caratterizzato da pressioni sociali, restrizioni e tabù. Era mia intenzione continuare a indagare le questioni giovanili e le narrazioni iniziatiche ma volevo farlo prendendo in considerazione la realtà politica della Francia contemporanea» (C. Sciamma)

Con realismo antiretorico e apparente leggerezza, la regista francese fotografa la volatilità dell'adolescenza, il senso di un tempo in divenire in cui mancano gli appigli e le guide, e l'identità personale si costruisce attraverso meccanismi di inclusione ed esclusione.

Rubrica

Il corpo di Marieme appare così pieno di vita da non poter stare dentro lo schermo, ha bisogno di uscire fuori, di urlare, di combattere a mani nude, come si trova un'interprete così intensa? «ci ha colpito perché durante i casting era l'unica a non volersi raccontare, a cercare di esser naturale a tutti i costi. Anzi, voleva dimostrare di saper recitare, di piangere quando lo script lo prevedeva. Lei non viene da quel mondo, ma su 300 ragazze non ho mai avuto una seconda scelta. Era lei e basta. Cercavo un volto indimenticabile, che avvincesse lo spettatore, ma anche una fisicità camaleontica, in grado di raccontare tutti i cambiamenti vissuti dal personaggio. Karidja ha tutto questo».

Ancora dalle parole della regista stessa: «La cosa importante per me era catturare le molteplici energie delle protagoniste. Volevo che le ragazze fossero capaci di interpretare un testo, perché il film è davvero molto scritto, ma anche in grado di improvvisare. Avrete notato alcune sequenze, come quella dell'hotel o del minigolf, che erano già previste in sceneggiatura ma con grande libertà di improvvisazione. Loro non sono mai una cosa sola: a tratti sono bambine, altre volte donne mature. La sfida più grande era riuscire a restituire tutte queste sfaccettature nel ritratto di una generazione» [..] «Anche se la storia è radicata nella società francese, appartiene alla sfera della mitologia cinematografica, parla di giovani sottoposti a restrizioni sociali e tabù: era meglio raccontarla sullo fondo francese per evidenziare come crescono le giovani donne provenienti dalle aree di minoranza povera. Si tratta di una storia di formazione e non di un film sui quartieri poveri o sulle periferie, che ho scelto invece di reinterpretare. Ho scelta anche di usare il formato Cinemascope. Era quello che ritenevo più adatto per raccontare la storia di una gang e della solidarietà che si instaura tra le sue componenti» [..] «Ma l'aspetto sociologico, pure rilevante non fa di Bande de filles un documentario. Anzi, per me rappresenta il mio film più costruito, dove il lavoro sulla messa in scena è attento a ogni elemento, dai costumi alle coreografie dei movimenti, dei balli. Ero molto lontana dall'idea del “cinema delle banlieue”, che pare ormai costituire un genere a sé. Se parliamo di una visione estremamente contemporanea, ancorata a problemi attuali, sicuramente il film ha un approccio più sociologico rispetto ai miei lavori precedenti, ma ho sempre guardato alla protagonista come a un'eroina classica. Le diverse esperienze di Marieme/Vic, scandite da dissolvenze in nero come veri e propri capitoli di un romanzo di formazione, sono rimarcate da altrettanti cambi di costumi, di look, di immagine. Come fosse il supereroe di un fumetto che, a seconda dell'abito, può acquisire determinati poteri. In “Tomboy” il discorso sull'identità era sicuramente più intimo. Qui assume connotazioni più sociologiche, quasi politiche». (C. Sciamma).