Giovedì 16 luglio: IL REGNO

[ Venerdì, 03 Luglio 2020 ]

Il film racconta di un carismatico politico che nella vita ha tutto, è il braccio destro del presidente Frías  ma è anche un uomo corrotto che sfrutta la sua posizione politica per ottenere denaro illegalmente insieme ai suoi colleghi di partito. Quando uno di questi viene accusato di frode e corruzione e infine arrestato, Manuel proverà a coprire il misfatto.

Trailer

Regia di Rodrigo Sorogoyen
Con: A. de la Torre, M.Lopez, J.M.Pau
Thriller. Spagna, 2018, 118'

Il regno si colloca temporalmente agli albori del sovranismo oggi imperante; o meglio al tramonto dell'era del partitismo che avrebbe portato - in Spagna e in buona parte d'Europa - all'avvento delle spinte populiste e dei partiti-persona. L'era, come si vede in una scena del film, dei primi iPhone usati per documentare ogni aspetto della vita pubblica e privata; l'era della crisi economica e delle speculazioni edilizie; l'era del connubio tra destra e sinistra nella gestione clientelare della politica, come indicato dalla vaghezza sul nome e sul colore politico del partito a cui appartiene il protagonista.

Al centro del film c'è un'idea di potere e di controllo privatistico della cosa pubblica che riguarda l'idea stessa di società. Manuel López-Vidal, detto Manu, è a suo modo un eroe popolare, un uomo che si è fatto da solo arrivando a un passo dalla cima senza terminare gli studi e dopo anni di gavetta. Il rispetto, la ricchezza, l'assenza di scrupoli che condivide con i compagni di partito sono un mezzo e al tempo stesso un fine della sua scalata: nel "regno" di cui fa parte, la corruzione è politica e la politica è corruzione, non esistono altri modo di lavorare.

Rodrigo Sorogoyen, che già in Che Dio ci perdoni aveva dato uno spaccato sociologico della Spagna contemporanea con le forme del cinema di genere (in quel caso il poliziesco), gestisce questa deriva incontrollata con i tempi di un thriller che si fa sempre più teso con il precipitare degli eventi. Antonio de la Torre, vulcanico interprete dagli occhi furiosi, s'imbarca in un tour-de-force attoriale che rende lo stato febbrile del personaggio, sottolineato dalla mobilità della macchina da presa, dalla musica elettronica di Olivier Arson e dal montaggio che allunga le scene oltre la soglia del sostenibile. Momenti come il confronto tra Manu e un ex compagno di partito che l'uomo cerca d'incastrare, o la ricerca notturna dei taccuini segreti del partito, sono attraversati da una tale agitazione da spingere l'espressionismo del film al punto di non ritorno, al limite tra l'isteria incontrollata e il parossismo.

Il risultato è uno stato di tensione perenne che porta alla sostanziale immobilità del sistema e che dunque svela il cinismo del regista e della sua co-sceneggiatrice Isabel Peña: Manu resta convinto della propria invulnerabilità esattamente come il sistema di cui fa parte, pronto a cadere e a rialzarsi un'altra volta, con le solite figure di sempre ai posti di comando e qualche comprimario in meno sullo sfondo.

Sospese nell'aria restano le responsabilità morali di ciascun individuo e le domande esistenziali senza risposta («Si è mai fermato per un momento, nella sua vita, a pensare a cosa stava facendo?», chiede una giornalista a Manu), ma niente a cui il regno non sappia resistere riaffermando la propria forza.
Il regno è morto, viva il regno. (mymovies.it)