Pietà

Sala 1

Lunedì, 09 Febbraio 2015

Assunto da uno strozzino per ottenere il pagamento dei debiti dai clienti in ritardo, Kang-do si comporta come un macellaio, storpiando le sue vittime e seminando la morte. Un giorno si presenta alla sua porta una donna, la madre, che si addossa la colpa di ogni suo crimine, pentita di averlo abbandonato alla nascita e di averlo lasciato crescere senza amore.

 

Scheda

Regia: Kim Ki-Duk
Paese: Corea del Sud
Anno: 2012
Durata: 104 min
Interpreti:  Lee Jeong-jin, Jo Min-soo, Kim Jae-Rok, Jin Yong-Ok, Eunjin Kang

Trama

Kang-do lavora per uno spietato strozzino, il suo compito è quello di recuperare le somme dovute dai pagatori insolventi, e per farlo ricorre a metodi più che violenti, dimostrando di non provare pietà per alcuno. Cresciuto senza famiglia e abituato alla solitudine, un giorno riceve la visita di una misteriosa donna di mezza età che gli rivela di essere sua madre. Nonostante non ricordi niente di lei, Kang-do con il passare dei giorni comincia a manifestare delle prime forme di affetto nei suoi confronti, fino a quando non scopre il terribile e triste segreto che lei si porta appresso.

Critica

Il diciottesimo film di Kim Ki-duk segna il suo ritorno al film di finzione pura dopo la grave crisi personale e artistica documentata in modo straziante dall'auto-confessione di Arirang (2011).
Il punto di partenza del film è il culto del denaro, generatore simbolico dei comportamenti sociali,“l'inizio e la fine di tutte le cose” (come si afferma nel film stesso), si insinua nella vita di ogni giorno guastando tutto: i rapporti si deformano, si corrompono, collassano e infine si trasformano perversamente in merce così come le persone. Nella descrizione della tragedia del capitalismo moderno, il regista ricorre alla consueta e disturbante violenza degli esordi ma con soluzioni inedite per il suo sguardo: un maggior numero di dialoghi (già evidente nel fluviale stream of consciousness di Arirang), zoomate repentine e una certa mobilità nervosa della mdp al posto dell'estrema pulizia e ricercatezza estetica che servivano nei suoi capolavori a sublimarne la disperazione in un'eterea e astratta stilizzazione. 

Premi e Festival

Leone d'oro alla 69' Mostra Internazionale del cinema di Venezia 

Rubrica

Rovesciamenti del rapporto vittima-carnefice, conversione di vendetta in pietas, per un tragitto che culmina in una proposta etica di condivisione della sofferenza ispirato, per stessa ammissione del regista, al richiamo dell’abbraccio universale della Madonna della Pietà michelangiolesca: "sono stato due volte in Vaticano, e ho visto questo capolavoro di Michelangelo. Non voglio dire nulla a proposito della bellezza e del valore dell'opera, ma mi riferisco all'abbraccio della Vergine Maria, che abbraccia il proprio figlio morto sulla croce. È l'immagine di questo abbraccio, che mi sono portato dentro per tanti anni, è stata l'immagine di un abbraccio dell'intera umanità e la comprensione e condivisione di questo dolore”.

Ma nel sistema sincretico di Kim Ki-duk, le concezioni di spiritualità e di religione non sono da considerasi come sfere a sé stanti, isolate in un pantheon della trascendenza, né presenze totalizzanti a cui immolare la vita, bensì ingredienti dell'esistenza (terrena) stessa: tracciati-guida per armonizzare la condotta umana piuttosto che materiale per speculazioni teologiche.

Ancora il regista stesso: «Penso che tutti coloro che vivono in questi tempi siano complici e peccatori. Tutti noi siamo semplicemente in attesa della misericordia di Dio. [..] Secondo me la vita è sadismo, autotortura e masochismo. Si torturano gli altri, siamo torturati e torturiamo noi stessi. Alla fine molti si accontentano dell’autotortura… Non c’è ragione per non odiare, detestare o non capire la vita umana. Ma anche così continuiamo a dimenticarcelo e, in un’ottica miope, abbiamo bisogno di tempo per guarire dal dolore, dall’odio e per perdonare».

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