Alì ha gli occhi azzurri

Lunedì, 20 Gennaio 2014

Due adolescenti della periferia romana sono invischiati in loschi giri, uno è italiano Stefano e l'altro egiziano Nader. I genitori di questi ostacolano il suo amore per una ragazza italiana perchè lo considerano contrario ai loro valori culturali. Nader decide di scappare di casa per cercare di scoprire la propria identità.

 

Scheda

Regia: Claudio Giovannesi
Paese: Italia
Anno: 2012
Durata: 100 min
Attori: Nader Sarhan, Stefano Rabatti, Brigitte Apruzzesi, Marian Valenti Adrian, Cesare Hosny Sarhan, Fatima Mouhaseb, Francesco Panetta, Yamina Kacemi, Salah Ramadan, Marco Conidi, Alessandra Roca

Trailer: http://www.mymovies.it/film/2012/alihagliocchiazzurri/trailer/

Trama

Stefano e Nader condividono ogni momento della loro esistenza. Entrambi adolescenti della periferia romana invischiati in loschi giri, uno italiano e l'altro egiziano, passano dalle rapine al supermercato alle mattinate in discoteca senza che nulla intacchi il loro rapporto. Anche Brigitte, la fidanzata di Nader, è italiana ma i genitori del giovane si oppongono a un amore che considerano contrario ai loro valori culturali. Dopo l'ennesimo scontro in famiglia, Nader decide di scappare di casa per andare incontro a una settimana in cui cercherà di scoprire la propria identità. Diviso tra l'essere italiano e le radici egiziane, sopporterà freddo, fame, paura, solitudine e perdita dell'amicizia per di capire chi è.

 

Critica

Al suo secondo lungometraggio di finzione dopo l'esordio con La casa sulle nuvole, Claudio Giovannesi per Alì ha gli occhi azzurri ha preso ispirazione da Pier Paolo Pasolini e dalla sua Profezia per raccontare la vita degli adolescenti della periferia romana. La sua attenzione si è concentrata in particolar modo sul personaggio del giovane egiziano Nader e sulla sua favola contemporanea per la ricerca di una propria identità. Portato in Concorso al Festival internazionale del film di Roma 2012, ecco come Giovannesi racconta la sua opera: «Alì ha gli occhi azzurri è un film che vuole raccontare l’adolescenza nella società multiculturale italiana di oggi: la vitalità e la complessità dell’adolescenza, la turbolenta ricerca di un’identità, che l’origine non italiana del protagonista di questa storia rende ancor più difficile. Nader, egiziano nato a Roma, diventa per me emblema della seconda generazione italiana: l’identità nel suo farsi, in bilico tra l’eredità della religione e della legge del padre e i costumi occidentali del presente italiano. Nader è in divenire attraverso questa sospensione, e il tentativo inconsapevole di conoscere se stesso diventa un racconto di formazione epico e quotidiano che dura sette giorni. A volte l’integrazione, nei territori più periferici, si confonde con l’ omologazione, con la perdita della propria appartenenza culturale e religiosa, per sposare il presente nichilista della società dei consumi. Ma scegliendo di stare sempre accanto a Nader, solo un passo dietro di lui, le ragioni che prevalgono nella sua battaglia quotidiana sono quelle dell’adolescenza, con i suoi valori morali assoluti: l’amore vissuto senza confini e l’amicizia che è fratellanza. Il punto di partenza di questo lavoro è stato proprio il conflitto che Nader viveva, come essere umano, prima di diventare personaggio: l’amore per una ragazza italiana, vissuto quasi in clandestinità, contro il divieto dei propri genitori e della propria cultura ( haram – quello che l’Islam considera proibito). Per sfiorare  la verità abbiamo messo in scena quel conflitto con Hosny e Fatima, i reali genitori di Nader, e con Brigitte, la ragazza di cui è davvero innamorato, grazie ad una generosa disponibilità da parte loro ad una delicata auto-rappresentazione. Protagonista del film è anche Ostia, il lido di Roma, la spiaggia di inverno, un territorio per sua natura più multietnico della capitale. Quasi tutto è raccontato attraverso il punto di vista di Nader: la posizione della macchina da presa è determinata dal suo sguardo, dal suo corpo e dalle sue azioni, in un pedinamento continuo e dinamico in metropolitana, a piedi, in motorino, sulla provinciale, avanti e indietro dalla periferia al centro: gli adolescenti non si fermano mai, non conoscono l’immobilità e noi viviamo l’azione del film insieme al loro movimento vitale, gioioso, chiassoso. Ma non c’è soluzione al conflitto che Nader porta dentro, tra amore e proibizione, tra la cultura di adozione e quella di appartenenza: resta solo la coscienza e la ricchezza della propria contraddizione.»
“Ostia, periferia e lungomare di Roma, inverno. Due ragazzi di sedici anni rubano un motorino, fanno una rapina e puntuali, alle nove, entrano a scuola. Nader e Stefano: uno è egiziano ma è nato a Roma, l’altro è italiano ed è il suo migliore amico. Anche Brigitte, la fidanzata di Nader, è italiana ma proprio per questo i genitori del ragazzo sono contrari al loro amore. Nader allora scappa di casa, non prima di avere commesso un altro errore: l’accoltellamento di un rumeno in una discoteca. La fuga dalla famiglia coincide così con una sorta di iniziazione, di passaggio dall’adolescenza a una maturità che tarda ad arrivare. Sullo sfondo dell’ennesima strepitosa fotografia di Daniele Ciprì, Claudio Giovannesi (regista, cosceneggiatore e coautore delle musiche), qui al secondo lungometraggio dopo La casa sulle nuvole, riprende in mano la lezione pasoliniana (fin dal titolo, tratto da una poesia di Pier Paolo: «... dietro ai loro Alì dagli Occhi Azzurri, usciranno da sotto la terra per uccidere, usciranno dal fondo del mare per aggredire, scenderanno dall’alto del cielo per derubare...»), aggiornando gli accattoni ai tempi dell’integrazione multiculturale e multireligiosa. La macchina da presa pedina i suoi personaggi reali (Nader e Stefano, interpretati dai perfetti Nader Sarhan e Stefano Rabatti, vivono davvero a Ostia e hanno davvero vissuto gli episodi qui ricreati) nel degrado di una periferia rassegnata. Il suo occhio vuole mostrare, non dimostrare, e il risultato è una prova d’autore coi fiocchi, una ricognizione antropologica sull’Italia del Nuovo Millennio. Belli e intensi anche i volti che circondano i due protagonisti”. (di Aldo Fittante, FilmTV n. 47/2012)

“Un pedinamento di vite ai confini. Due giovani ragazzi, un italiano e un egiziano immigrato di seconda generazione, le loro famiglie, i loro amici, tutti in quella zona liminale di Roma, già in periferia, tra la fine del Raccordo e Ostia. Una terra di mezzo, quasi una terra di nessuno, popolata di immigrati di varia origine, ragazzi dalla vita difficile, in bilico tra regole troppo dure da rispettare, siano quelle imposte dalla società o dalla propria famiglia, e microcriminalità, fatta di furtarelli e rapine. C'è chi resiste. Chi, inevitabilmente, cede e si ritrova immischiato in affari più grandi dei suoi 16 anni, ancora un ragazzino, ma già fin troppo adulto. Alì ha gli occhi azzurri di Claudio Giovannesi, Premio Speciale della giuria al 7° Festival Internazionale del Film di Roma, fotografa una realtà che già aveva introdotto in Fratelli d'Italia, dal quale trasporta Nader in questa fiction che mantiene un rapporto strettissimo con la vita vissuta. La vicinanza rispetto al reale, quasi in maniera neorealistica (dai non attori che mantengono i loro nomi e portano le loro esperienze nel film al grande spazio dato agli esterni, magnificamente fotografati da Daniele Ciprì, passando per un linguaggio tipicamente quotidiano e dialettale), è sottolineata dalla preponderanza dei primi piani, su cui Giovannesi si focalizza, cogliendo espressioni e conflitti interiori e stando addosso ai suoi personaggi, quasi un tutt'uno con la macchina da presa. Si accorcia qualsiasi distanza, non solo spaziale, ma anche da un punto di vista psicologico, andando a partecipare emotivamente alle vicende di questi ragazzi, pur sapendo mantenere un'oggettività necessaria per porter parlare di temi importanti quali l'immigrazione, l'integrazione difficile nella società, la differenza di etnia e i conflitti religiosi. Giovannesi presenta questa realtà in maniera naturale, a partire dal quotidiano e dall'ambiente familiare, quello in cui Nader è diviso tra le leggi dei genitori, ancora legati alla loro tradizione e al loro paese d'origine, mentre il ragazzo si sente del tutto italiano e vorrebbe vivere come tale, fare tutto ciò che è concesso agli altri sedicenni, per poi contraddirsi e comportarsi come il padre avrebbe fatto. Un paradosso, quasi una performance nell'assumere un ruolo diverso da quello che gli è stato assegnato, quasi una finzione così come quegli occhi azzurri che celano quelli veri, di un caldo nocciola.  Il reale, allora, emerge direttamente dalla macchina da presa, dalle immagini grezze e brutali, dirette, dallo sguardo di Nader e dalle sue lacrime. Quella di Giovannesi è una lezione colta e rielaborata in maniera attualissima, in grado di colpire lo spettatore e stimolare la riflessione. Un esempio che il cinema italiano dovrebbe seguire più spesso”. (di Eleonora Sammartino, in www.sentieriselvaggi.com del 19/11/2012)

 

Note

prospettiva giovani

 

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