I toni dell'amore

Sala 1

Lunedì, 18 Aprile 2016

Due omosessuali che stanno insieme da 28 anni, decidono finalmente di sposarsi. Quando però uno dei due perde inaspettatamente il proprio lavoro in una scuola cattolica locale, Ben e Jorge si ritrovano costretti a rinunciare al loro appartamento e a vivere separati, mettendo a dura prova il loro amore.

 

Scheda

Regia: Ira Sachs
Paese: USA
Anno: 2014
Durata: 94 min
Interpreti: Marisa Tomei, John Lithgow, Alfred Molina, Cheyenne Jackson, Darren Burrows, Charlie Tahan, Christian Coulson, John Cullum, Harriet Sansom Harris

Trama

Ben è un pittore e George un insegnante di musica, vivono insieme da 39 anni e tutti sembrano accettare serenamente la loro convivenza: gli amici, i parenti, i genitori degli studenti di George e il preside della scuola cattolica in cui lavora. Ma quando decidono di coronare la loro storia d'amore con un matrimonio, l'idillio si spezza. La Chiesa cattolica, che aveva dimostrato tanta privata tolleranza, licenzia George in tronco per aver pubblicamente ufficializzato l'esistente. Privati della loro principale fonte di reddito, i due coniugi sono costretti a vendere il proprio appartamento e a farsi ospitare dai loro cari in due diverse abitazioni.

Critica

Due anni dopo il pregevolissimo Keep the lights on, piccola perla semi-inosservata del moderno cinema indie americano, il regista e sceneggiatore Ira Sachs torna a raccontare una relazione omosessuale, passando però dalla tormentata intensità della giovinezza (al cuore del film precedente) al placido e solido affetto della maturità. La coppia di protagonisti al centro della vicenda condivide un'intera esistenza contrassegnata da tenerezze quotidiane e da una stabilità eletta a modello da tutti i loro amici e familiari, una storia di amore forte e profondo messa però tutto d'un tratto a dura prova dalla pressione logorante delle contingenze. Sapiente la descrizione dei vari aspetti del quotidiano, da quelli in apparenza banali alle parentesi più intime e commoventi. Il regista americano dipinge in tal modo un tessuto narrativo encomiabile per la sua capacità di delineare e di far affiorare emozioni e stati d’animo in maniera pudica, ma al contempo estremamente spontanea e coinvolgente. Non condanna nessuno Sachs, nemmeno la Chiesa, non è un film militante o a tesi, ma con estrema delicatezza e infinita dolcezza dello sguardo ci fa innamorare dei suoi due protagonisti, interpretati con inarrivabile immedesimazione da John Litgow e Alfred Molina (magnifici, strepitosi e immensi sono gli aggettivi che più sono stati usati per descriverli) e ci fa soffrire con loro: si chiama empatia, ed è merce rara, di questi tempi. 

Premi e Festival

Nomination ai Gotham Award (gli Oscar del cinema indipendente) 

Rubrica

«Un dolente 'viaggio alla Ozu' sotto la prospettiva omosessuale, il cui tono è stato influenzato da “Hanna e le sue sorelle” e “Mariti e mogli”, di Woody Allen.» (Ira Sachs)

Intervista agli attori

Lithgow e Molina, è innegabile che tra voi ci sia chimica; sullo schermo, sembra che certi dialoghi di Ben e George siano improvvisati, mentre un personaggio comincia una frase, l'altro la chiude.
Molina: "Quando ho ricevuto il copione, mi avevano avvisato: leggi, sarà nelle tue corde. L'ho amato all'istante. Dopo aver sfogliato le prime pagine ero già al telefono con Ira Sachs: 'Lo voglio fare, io ci sono!'. Ma come spesso accade per i progetti indipendenti, sono trascorse settimane e lunghi silenzi da parte della produzione prima di tornare sull'argomento. Poi Ira mi ha chiamato e ha coinvolto John Lithgow, che si diceva interessato alla parte. Io e John siamo amici di lunga data, questo ha facilitato il clima sul set, dalla costruzione dello humor alle scene più emotive, dai movimenti dei personaggi agli sguardi. Quando ho visto il film completo al Sundance, in sala con gli spettatori, mi è arrivata addosso un'emozione enorme. Chi mi sedeva accanto era una coppia gay della stessa età di Ben e George, si tenevano per mano, commossi...". 
Lithgow: "A proposito di 'connessioni', anche la location del film, l'appartamento di Ben e George, appartiene realmente a una coppia gay trasferitasi a Jackson Heights, nel Queens, negli anni Settanta. Amano così tanto il teatro che ci hanno portato tutti i Playbill dei lavori in cui quali Alfred e io abbiamo recitato più di trent'anni fa".

Com'è stato recitare assieme per la prima volta?
Lithgow: "Meraviglioso. Molto spontaneo, grazie anche alla sensibilità di Sachs che ha diretto tutto il cast come un unico flusso, senza ingombri. Io e Fred ci conosciamo dai primi anni Novanta, sono andato a vederlo a teatro sempre con piacere. Ho letto lo script tutto d'un fiato e alla fine quello che sognavo realmente era interpretare uno dei due ruoli al fianco di Fred".
Molina: "È un grande vantaggio avere di fronte a te, sul set, una persona di cui ti fidi. Ci siamo divertiti parecchio. Buffo veder evolvere la nostra amicizia in matrimonio...".

Come siete riusciti a non cadere nel cliché delle relazioni di coppia?
Lithgow: "Conosciamo entrambi la potenza di un matrimonio, i doveri quotidiani, le responsabilità reciproche. Con ventisette giorni di riprese soltanto - sedici per me - non volevamo proprio annoiarci. Così quello che vedete nel film è frutto di un processo naturale, di un affidarsi costante. Alfred è irresistibile, mi ha fatto morire dal ridere tutto il tempo, dovevo implorarlo di star zitto altrimenti me la sarei fatta addosso".
Molina: "Il trucco è ricreare un'intimità tra attori, portare quella gioia sul set. Non ho altri ricordi di esperienze intense e piacevoli come quella con John. Sono certo che il film commuoverà il pubblico e lo divertirà. Raramente, al cinema, capitano opere che raccontano l'inverno di una vita vissuta assieme".

Avevate già interpretato personaggi legati a questioni LGBT, ma negli anni Ottanta. 
Lithgow: "Sì, io ero Roberta Muldoon in Il mondo secondo Garp con Robin Williams; Alfred ha recitato in Prick Up: l'importanza di essere Joe, con Gary Oldman".
Molina: Prick Up è un gran film a tematica gay, anche My Beautiful Laundrette, sempre diretto da Stephen Frears. Trent'anni fa dominava la paranoia del sesso, al cinema vedevamo dei baci e degli abbracci appena sfiorati. Nulla di hard o realistico, insomma. Eppure è evidente che tutti gli autori, in quel periodo storico, negli anni dell'AIDS, andavano fuori di testa per il sesso gay, ne erano ossessionati. Volevano rappresentarlo ma si sentivano castrati. Il tarlo, per noi attori, era invece: riusciremo a impersonare un omosessuale o risulteremo ridicoli? Intanto, tutti gli agenti dicevano alla celebrità di turno: sicuro di voler baciare quell'attore? È gay...". 
(www.repubblica.it)

 

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